Il palmares e la storia degli Azzurri
Quattro coppe del mondo FIFA (1934, 1938, 1982, 2006), un Campionato Europeo UEFA (1968), una Medaglia d’Oro (1936) e due Medaglie di bronzo (1928 e 2004) ai Giochi Olimpici rappresentano il palmares della Nazionale italiana di calcio, tra le più titolate a livello internazionale.
Oltre agli straordinari successi, gli Azzurri possono inoltre contare su due secondi posti (1970, 1994), un terzo posto (1990) e un quarto posto (1978) al Mondiale, due secondi posti agli Europei (2000 e 2012).
Completano la “bacheca azzurra” i 5 Campionati Europei vinti dall’Under 21 (oltre a 4 edizioni dei Giochi del Mediterraneo), ed i successi continentali delle Nazionali Under 19, Under 16, Under 19 Femminile, la doppietta della Nazionale di Calcio a 5 (2003 e 2014) e della Nazionale Beach Soccer (2005 e 2018).
La Nazionale A, vertice del Club Italia che annovera oggi 19 squadre, ha una storia lunga oltre 100 anni, iniziata nel lontano 15 Maggio 1910. Cento anni colorati d’azzurro, cento anni di emozioni, passioni popolari e vittorie esaltanti vissute insieme a milioni di italiani di tante generazioni. Perché da allora le vicende della Nazionale hanno accompagnato la vita quotidiana del Paese. Perché da allora la Nazionale è diventata il simbolo sportivo dell’Italia nel mondo, elemento capace di aggregare una Nazione appena unita nei suoi territori ma non ancora nella sua coscienza popolare e poi di regalare emozioni ai tanti Italiani emigrati in ogni dove, che ancor oggi si stringono all’Italia vestendo la maglia Azzurra. Perché la Nazionale ha sempre saputo conservare il suo ruolo aggregativo nel Paese, diventando da subito la Squadra di tutti gli Italiani.
L’esordio. Mentre il Paese viveva il periodo giolittiano e i bagliori dell'imminente guerra di Libia già s'intravedevano all'orizzonte, la Federazione Italiana Giuoco Calcio - fondata nel 1898 a Torino come FIS Federazione Italiana del Football, al termine di una sorta di una Costituente che avrebbe indicato nel Conte D'Ovidio il primo presidente - iniziò a pensare seriamente alla nascita di una rappresentativa nazionale, dopo alcuni tentativi falliti. Domenica 15 maggio 1910 la Nazionale di calcio disputò la prima gara ufficiale della sua storia, in coincidenza col congresso della FIFA tenuto a Milano. Nella napoleonica Arena Civica di Milano, già sede di eventi sportivi e di spettacoli di naumachia, davanti a 4000 spettatori entusiasti, la Nazionale, orfana dei giocatori della Pro Vercelli squalificati e capitanata dal doriano Calì, si impose per 6-2 contro la cugina Francia. l giornali si limitarono a poche righe nelle pagine sportive, tra corse di biciclette e automobili, ma qualcosa era acquisito per sempre. Alla prima commissione tecnica, composta da cinque arbitri, erano serviti quattro mesi per definire l'undici iniziale. Passarono meno di due settimane e il risveglio fu amarissimo. Dopo un estenuante viaggio fino a Budapest, i nostri si ritrovarono sconfitti per 6-1 da una fortissima Ungheria. E sempre l'Ungheria fu l'avversaria per la terza sfida nel gennaio 1911, ancora una volta all'Arena Civica di Milano. Non fu una partita come le altre, perché per la prima volta la squadra indossò la divisa azzurra, in onore di casa Savoia. L’ispirazione venne dal mosaico presente sul pavimento della milanese Galleria Vittorio Emanuele Il, raffigurante lo stemma. l nostri furono sconfitti con un solo gol di scarto (0-1) e il colore azzurro della divisa - ornato dallo stemma sabaudo con croce bianca in campo rosso - non sarebbe per lungo tempo scomparso dalle casacche di gioco.
Il primo successo alle Olimpiadi. Come tutte le avventure, l'avvio della Nazionale fu stentato. Per le Olimpiadi del 1912 si decise di iscrivere la squadra alla manifestazione, nella quale fu accompagnata da un giovanissimo segretario, Vittorio Pozzo, destinato a scrivere le pagine più memorabili di questo sport. Nella sua casa avrebbe ospitato per un periodo pure la segreteria della FIGC. La spedizione fu fallimentare, ma l'impresa più ardua fu raggiungere Stoccolma. Ad ogni modo, recuperati i giocatori della Pro Vercelli, la Nazionale procedette con le amichevoli sino al gennaio 1915, quando la Grande Guerra arrivò a interrompere l'intera attività sportiva. Sul fronte alpino, dove molti atleti combatterono con la baionetta in mano, l'Italia del calcio ebbe parecchie vittime tra le quasi 650mila globali, compreso l'ex capitano azzurro Virgilio Fossati. Servirono cinque anni esatti, ossia il gennaio 1920, perché una squadra azzurra si riformasse e fu ancora una volta scandita da una vittoria sulla Francia (9-2). L'Italia partecipò poi alle Olimpiadi del1920 ad Anversa, arrivando ai quarti di finale E confermò la sua presenza quattro anni più tardi alle Olimpiadi di Parigi, accompagnata ancora una volta da Vittorio Pozzo. Era una Nazionale che iniziava a contare su alcuni campioni. Dal "figlio di Dio" Renzo De Vecchi, titolare sin dagli albori, ai difensori Rosetta e Caligaris, dall'interno Baloncieri allo "sfondareti" Levratto. Gran parte di questo nucleo, guidato in panchina da Augusto Rangone, riuscirà a conquistare la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Amsterdam del 1928. Di fatto, il primo grande risultato della nostra Nazionale.
L’epoca d’oro 1934/1938. Proprio il terzo posto di Amsterdam, ottenuto nella finalina contro l'Egitto (11-3), sancì la fine dell'epoca pionieristica, introducendo la stagione dei maggiori trionfi di ogni tempo. La chiave di volta fu data dal ritorno, stavolta in pianta stabile, di Vittorio Pozzo. La prima partita del nuovo Ct unico fu quella disputata il 1 dicembre 1929 e vinta contro il Portogallo (6-1). La gara successiva contro la Svizzera segnò un altro passo in avanti nella costruzione della formazione che dominerà il decennio, con il debutto in contemporanea di Giovanni Ferrari e di Giuseppe Meazza. Gli Anni 30, quelli che accolsero i maggiori successi dell'Italia, furono inaugurati dal successo nella Coppa Internazionale, sorta di Coppa Europa ante-litteram, destinata alle Nazioni dell'Europa Centrale. Decisivo fu il 5-0 sul campo dell'Ungheria, ribaltando quanto era successo vent'anni prima. Nel 1935 arriverà la seconda Coppa Internazionale. Per il regime fascista, il calcio iniziò ad assumere un'ampia valenza. Nel 1929 - 30 era nato il campionato a girone unico, mentre la Carta di Viareggio del 1926 aveva limitato l'uso degli stranieri, eccezion fatta per gli oriundi, e aveva posto le basi per il professionismo. Ma fu con il Mondiale del1934 disputato in casa per esplicita richiesta del regime che i campioni di questo sport divennero autentiche stelle. Il caso più emblematico fu quello di Giuseppe Meazza: brillantina, belle auto, donne, ma anche testimonial per diverse aziende, emblema del fascismo assieme a Carnera. Nello stesso periodo, l'altra novità fu offerta dalla nascita dei nuovi stadi, in primis il Littoriale di Bologna voluto dal gerarca cittadino e presidente della FIGC Leandro Arpinati. Ispirerà tutti gli altri impianti. Per il Mondiale del 1934 ne furono impiegati otto, fra cui quello di Milano nel quale l'Italia batté l'Austria in semifinale e quello di Roma del Partito Nazionale Fascista in cui si laureò Campione del Mondo per la prima volta nella storia, battendo in finale la Cecoslovacchia (2-1), il10 giugno 1934. Mussolini, spettatore in tribuna quella domenica pomeriggio, premiò la squadra sul campo con la Coppa del Duce e la ricevette a Palazzo Venezia. Fu un successo di immagine straordinario per la nuova Italia che si voleva rappresentare all'estero, rafforzato ancora di più dall'impresa del novembre successivo. A Londra, l'Italia affrontò i maestri inglesi, i quali chiusero il primo tempo in vantaggio 3-0, ma nella ripresa - malgrado la mancanza di Monti - arrivarono i due gol di Meazza. Nacque così il mito dei “Leoni di Highbury”. Due anni dopo il successo del centravanti Schiavio, del portiere Combi, del talentuoso Orsi e del terzino Eraldo Monzeglio, istruttore di tennis di casa Mussolini, l'Italia vinse la medaglia d'oro alle Olimpiadi di Berlino, nello stadio che vedeva in quei giorni il trionfo propagandistico di Adolf Hitler. Vittorio Pozzo, sempre lui, era stato capace in poco tempo di mettere insieme una formazione nella quale dovevano comparire unicamente studenti per non tradire lo spirito olimpico. La grande stella a cinque cerchi fu Annibale Frossi, con i suoi inconfondibili occhiali, ma nella Finale vittoriosa contro l'Austria (2-1) ben figurarono anche i difensori Rava e Foni e il centrocampista Locatelli, tutti e tre Campioni del Mondo due anni più tardi nel Mondiale Francese.
Quest'ultimo, almeno da un punto di vita tecnico, fu il torneo più esaltante dell'anteguerra. La Nazionale di Pozzo riuscì infatti a battere in sequenza la Norvegia, la Francia, il Brasile, sino alla Finale del19 giugno 1938 vinta contro l'Ungheria (4-2) Ma si trattò anche di una competizione dalla forte connotazione politica e "cromatica': in risposta agli esuli Fascisti, che avevano fischiato l'inno italiano nella prima gara dei nostri, Mussolini pretese che la squadra indossasse la maglia nera (già utilizzata nel 1935 contro la Francia e sperimentata nell'amichevole contro la Jugoslavia giocata in maggio a Genova) nella gara contro i padroni di casa transalpini. Fu un atto simbolico molto forte, così come il saluto romano della squadra.
Del resto, l'aria era mutata. L'Italia rurale del primo Fascismo, quello segnato dal passaggio da movimento a partito di massa, aveva lasciato spazio all'impresa etiopica, al sogno imperiale, alle leggi razziali che sI abbattevano sul Paese e che avrebbero obbligato un allenatore tre volte Campione d'Italia come l'ebreo Arpad Weisz a lasciare l'Italia. La Nazionale azzurra, sebbene accompagnata dalla passione popolare, fu usata da Mussolini nella sua più ampia visione espansionistica. Dopo il Mondiale vittorioso, che andava a completare un decennio formidabile, l'Italia continuò a giocare sino al1942, con le due ultime amichevoli contro la vicina Croazia e la Spagna, reduce da una sanguinaria guerra civile In queste gare giocarono Mazzola e Loik, futuri protagonisti del Grande Torino e del Dopoguerra italiano. Ma intanto era cominciato il conflitto bellico, che avrebbe sprofondato la Penisola in un'immane sconfitta bellica e in un'esiziale guerra civile, con oltre 460mila vittime conteggiate alla fine.
Il dopoguerra. La ricostruzione fu dura. Nelle città, lungo le strade e le piazze, quanto negli stadi. Per la Nazionale italiana si palesò subito il problema di riconquistare credibilità a livello internazionale. Mentre Alcide De Gasperi parlava alla Conferenza di Pace di Parigi di un clima ostile nei confronti del Paese battuto, la diplomazia del pallone cercava un modo per ricominciare l'attività internazionale. L'opportunità sopraggiunse nel novembre 1945, quando la Svizzera ospitò gli Azzurri a Zurigo dopo una precedente rinuncia della Nazionale spagnola. Pareggiammo 2-2, ma fu di fatto una vittoria. Per la seconda gara sarebbe occorso un anno, quando l'Italia si presentò al cospetto dell'Austria, a Milano, tuttavia senza più lo scudo sabaudo, avendo trionfato la Repubblica nel referendum del 2 giugno 1946. Eppure l'azzurro, almeno quello, rimase.
Furono anni di difficile uscita dalla guerra, ma tra le macerie belliche spuntò un fiore, il Grande Torino. Prima squadra "sistemista" del nostro calcio, se si esclude l'esperimento dei Vigili del Fuoco di La Spezia, vincitori dello scudetto di guerra, arrivò a schierare dieci undicesimi della Nazionale nella sfida contro l'Ungheria dell'11 maggio 1947. Il solo portiere Sentimenti IV non faceva parte del gruppo granata Ma una nuova, tragica sventura attendeva il calcio italiano, perché quella squadra magnifica e insuperabile scomparve per intero il 4 maggio 1949, quando l'aereo di rientro da un'amichevole a Lisbona (decisa durante Italia - Portogallo del febbraio precedente, come omaggio per il capitano lusitano Ferreira) andò a schiantarsi contro la collina di Superga Fu la fine di una leggenda e l'inizio di un lungo cal¬vario, contrassegnato dal lutto al braccio che gli Azzurri portarono per un anno, sino al Mondiale brasiliano del1950.Il ricordo di Superga era ancora vivo e per questo si de¬cise di viaggiare in nave. Sedici giorni di quasi inattività che sfiancarono gli Azzurri, subito eliminati per mano svedese.
Di fatto iniziò un decennio di cambi conti¬nui in panchina e di pessimi risultati. Nel 1948 Pozzo aveva chiuso l'esperienza in Nazionale con le Olimpiadi di Londra, bat¬tuto dalla Danimarca, dedicandosi da lì in avanti al solo giornalismo. Dopo la commis¬sione composta da Nova - Copernico e poi Nova - Bardelli per il Mondiale del 1950, toccò alla triade Beretta – Busini - Combi, ri¬battezzata con sarcasmo BBC, continuare sino al 1953 solo col primo dei tre Seguì quindi l'ungherese Lajos Czeizler, affiancato dagli ex Campioni del Mondo Angelo Schia vio e Silvio Piola, i quali misero la firma sul pessimo Mondiale del '54, quando fummo estromessi dai padroni di casa della Svizzera nel girone iniziale. L'anno dopo, la vittoria a Stoccarda contro la Germania trionfatrice al mondiale fu una delle rare soddisfazioni del decennio. Fu poi il turno di un altro ex iridato, Alfredo Foni, chiamato a guidare la rappresentativa azzurra (coa¬diuvato da un'eterogenea commissione tecnica composta dallo stesso Schiavio, dal dirigente Tentorio, da Marmo e dal presidente FIGC Pasquale) fino al gennaio del 1958, quando l'Italia rimase esclusa per la prima volta, dal Mondiale nella burrascosa, doppia sfida di Belfast contro l'Irlanda del Nord. Nel frattempo, il Paese dava segnali di chiara ripresa e Iniziava il boom econo¬mico, che sarebbe durato in modo massiccio sino al 1963, portando la lira a essere eletta moneta dell'anno e alla migrazione di milioni di lavoratori dal Mezzogiorno alle fabbriche del nord.
La Nazionale fu affidata per l'ennesimo tentativo di rilancio a Giovanni Ferrari, altro pilastro della dinastia di campioni degli Anni 30. Seppure in alternanza con Gipo Viani, grande dirigente e allenatore nei club, toccò proprio a Ferrari, affiancato dal dirigente Paolo Mazza, disputare il Mondiale del 1962 in Cile, ancora una volta concluso con l'eliminazione degli Azzurri per mano dei padroni di casa, protetti nel gioco rissoso e intimidatorio dall'arbitro inglese Aston. Fu il Mondiale degli oriundi, che in massa avevano vestito la maglia italiana dal1950 al 1962. Da Schiaffino a Ghiggia, da Angelillo a Sivori, da Montuori ad Altafini. A nulla era servito per migliorare i risultati. E così Edmondo Fabbri, tecnico emergente della Serie A, puntò su un blocco totalmente italiano per li Mondiale inglese del 1966. Ma neppure questo bastò. Chiamata ad affrontare la Nazionale della Corea del Nord, presentata alla vigilia come quella dei "ridolini': un'Italia stanca, abulica, costretta a giocare con un menomato Bulgarelli per l'intero incontro, fu trafitta dalla rete di Pak Doo lk, il cui nome divenne una specie di incubo nazionale. Al rientro in patria, la Nazionale fu ricevuta con lancio di pomodori, e la Corea divenne sinonimo di catastrofe per molti anni a venire. Le accuse di tradimento avanzate da Fabbri si spensero sul nascere e il presidente Pasquale ne stabilì la squalifica.
Il trionfo Europeo. La maggiore ventata di novità non arrivò dal campo, bensì dagli uffici federali, dove cresceva la figura di un dirigente particolarmente abile nella diplomazia e nella capacità gestionale: il fiorentino di origini senesi Artemio Franchi. E fu proprio il neopresidente a scommettere su Ferruccio Valcareggi, fiorentino di adozione. Il Centro tecnico di Coverciano divenne la base del rilancio azzurro e i risultati furono tangibili. Mentre le università e le piazze vivevano la contestazione giovanile, rapidamente estesa alle fabbriche e agli operai, un nuovo corso prendeva piede nel Pallone. Nel1968 nacque il sindacato calciatori e quello stesso anno la Nazionale conquistò il primo e sin quì unico Europeo della sua storia. Accadde a Roma, ed era anche la prima volta che organizzavamo la manifestazione, allora circoscritta a quattro formazioni. Per sollevare la Coppa servirono la vittoria sull'Unione Sovietica, nella semifinale di Napoli, grazie alla scelta vincente della monetina da parte del capitano Giacinto Facchetti (testal), e due finali contro la Jugoslavia. La prima finì 1-1 Ma nella ripetizione giocata due giorni dopo, lunedì 10 giugno 1968, l'Italia di Riva e Anastasi, autori del 2-0 finale, alzò al cielo di Roma il trofeo, tra i suggestivi bagliori dei fuochi accesi dai tifosi Si trattava del primo successo dopo il Mondiale 1938. Erano occorsi trent'anni.
Quella stessa Nazionale, arricchita da Boninsegna in attacco, due anni dopo diede vita a uno dei Mondiali più belli e appassionanti di sempre. In particolare lo fu la semifinale contro la Germania Ovest, finita 1-1 nei tempi regolamentari e 4-3 per l'Italia nei supplementari, con gol decisivo di Gianni Rivera. È considerata ancora oggi la partita più spettacolare, vibrante e sorprendente della storia del calcio: 'La partita del secolo", come scritto sulla targa all'esterno dell'Azteca. L'Italia nulla poté, tuttavia, contro il formidabile Brasile di Pelé, che nella finale del 21 giugno 1970 sotterrò la formazione di De Sisti e Riva, di Albertosi e Facchetti per 4-1, dopo il primo e illusorio pareggio di "Bonimba". La Coppa Rimet finì così ai sudamericani, mentre per gli Azzurri ci furono addirittura le critiche e i pomodori al ritorno a casa. Bersaglio della contestazione, in particolare, fu Valcareggi, per avere concesso a Rivera appena 6’ nella finale, dopo averlo obbligato al ricorso sistematico della staffetta con Sandro Mazzola Al di là dell'amarezza finale, in Messico si ammirò un'Italia finalmente bella e credibile sul piano internazionale.
Anche per questo risultò tra le favorite alla vigilia del Mondiale 1974, qualche mese dopo aver espugnato per la prima volta l'Inghilterra con gol di Capello (14 novembre 1973). In Germania, al contrario, la squadra si spaccò in fazioni e l'episodio di Chinaglia, che insultava il Ct Valcareggi al momento della sostituzione nel match d'esordio contro Haiti, fu il detonatore. L'Italia uscì nel primo girone, sconfitta dalla Polonia (2-1), e Valcareggi dovette dare l'addio all'azzurro.
Il “Mundial” 1982. Al suo posto, fu subito chiamato un uomo di grandissima esperienza come Fulvio Bernardini, già due volte Campione d'Italia con i suoi club e bandiera del calcio azzurro negli Anni 20. La sua prima, valida intuizione fu quella di aprire le convocazioni a un numero maggiore di giocatori, cosa mai fatta in Nazionale, la seconda fu quella di prendere come suo secondo un giovane allenatore cresciuto nei quadri federali, Enzo Bearzot. Fu proprio quest'ultimo, quattro anni dopo, a condurre l'Italia nel Mondiale del 1978 Un evento funesto, contrassegnato dalla minacciosa dittatura militare argentina, ma in cui la rappresentativa italiana, nella quale vennero lanciati i giovani Paolo Rossi e Antonio Cabrini, stupì tutti, producendo il calcio più spettacolare dell'intero torneo. Quella grande prestazione, corredata dal successo sui padroni di casa con rete decisiva di Bettega, servì ad alleggerire nello spirito un'Italia sprofondata negli anni di piombo, alle prese proprio in quella annata con l'assassinio del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro e dei cinque uomini della sua scorta. Un'Italia plumbea, spaccata dai conflitti politici e sociali e dai referendum su divorzio e aborto, che tuttavia stava per andare incontro agli Anni 80, quelli del disimpegno e dell'edonismo. La data di svolta fu probabilmente la vittoria nel Mondiale 1982, quando Sandro Pertini esultò dalla tribuna del Bernabeu nel momento in cui milioni di italiani erano pronti a invadere le piazze. Il count-down fu scandito dalle parole del telecronista Rai Nando Martellini, "Campioni del Mondo, Campioni del Mondo, Campioni del Mondo". La Nazionale arrivò a quel successo in modo inatteso. Dopo le fatiche patite nel girone di qualificazione a Vigo, passato solo grazie alla differenza reti, a Barcellona rinacque una squadra epica, vicina a quella lasciata quattro anni prima a Buenos Aires. Dopo il 2-1 ai Campioni del Mondo argentini, arrivò il 3-2 al Brasile, con il risveglio di Paolo Rossi, autore di una tripletta Il rigenerato Pablito firmò anche la doppietta alla Polonia nella semifinale che ci aprì le porte alla finalissima contro la Germania Ovest. La rete dello stesso Rossi, quella magnifica e urlata di Tardelli, la ciliegina confezionata da Altobelli valsero la vittoria.
Enzo Bearzot fu giustamente portato in trionfo e le immagini della partita a carte tra lui, Pertini. Zoff e Causio sull'aereo presidenziale al rientro da Madrid entrarono direttamente nell'iconografia nazionale. Eppure l'ora del meraviglioso trionfo, quello di Bruno Conti e Gaetano Scirea, di Zoff e dei due terzini Cabrini e Gentile, celava anche la fine di un ciclo. L'Italia non riuscì infatti a qualificarsi per gli Europei del1984 in Francia e arrivò al Mondiale 1986 già qualificata in quanto detentrice della Coppa Fu una cocente delusione , perché al passaggio del turno fece seguito l'eliminazione agli ottavi di finale, e quasi senza storia, contro la Francia di Platini. La sconfitta di Città del Messico rappresentò anche l'ultima partita di Bearzot sulla panchina azzurra.
I Mondiali italiani. A sostituirlo fu chiamato un altro tecnico cresciuto nei quadri Federali e reduce da un entusiasmante secondo posto all'Euro¬peo con I'Under 21 Parliamo di Azeglio Vi¬cini, cui toccò il compito di travasare nella Nazionale maggiore i suoi ragazzi: Dona¬doni, Giannini, Zenga, Ferri, Mancini e altri. ottenuta la qualificazione all'Europeo del 1988 in Germania, dove la giovane squadra azzurra brillò nel gioco, arrendendosi alla sola Unione Sovietica nella semifinale, la vera sfida era rappresentata dal Mondiale successivo, quello del 1990. Per la prima volta dal 1934, toccava all'Italia organizzarlo E fu un investimento stratosferico, che coinvolse un intero Paese, reduce da una seconda parte degli Anni 80 ricca di exploit economici e segnata, in politica, dal rapporto dinamico tra partiti laici e Democrazia Cristiana. Per i Mondiali in casa furono individuati 12 impianti. Molti vennero rimodernati, come Milano, Roma e Napoli, altri fatti ex novo come Torino o Bari, in cui si sarebbe giocata la finale per il 3° posto. Non mancarono disservizi e sprechi, ma l'evento fu comunque spettacolare. Sul fronte azzurro, fu contrassegnato da Totò Schillaci, autore di sei reti, quasi tutte deci¬sive. Purtroppo non bastò quella realizzata in semifinale all'Argentina di Maradona per arrivare all'esito finale A un passo dal sogno, mentre Bennato e Nannini intonavano "Notti magiche': l'Italia di un giovanissimo Baggio dovette accontentarsi del 3° posto, senza avere mai perso una partita nei 90’ regolamentari.
Gli anni ‘90. Fu una delusione forte, che finì per ripercuotersi sul cammino di qualificazione all'Europeo 1992. Il tutto quando nel Paese era già scoppiata Tangentopoli. Sul palo colpito da Ruggiero Rizzitelli nella sfida di Mosca, l'Italia alzò bandiera bianca e la stessa cosa fece Azeglio Vicini, sostituito già a settembre del 1991 da Arrigo Sacchi. Era il primo allenatore ad avere vinto tutto con il club che accettava di cimentarsi con la Nazionale. Raggiunta la qualificazione a Usa 94, l’Italia iniziò con qualche difficoltà e nella partita degli ottavi contro la Nigeria il destino pareva scritto. Nigeria-Italia 1-0. Ma poi, a due minuti dal termine, il Pallone d'oro Roberto Baggio mostrò al mondo la sua classe, il suo infinito talento. Prima pareggiò, con un tiro millimetrico all'angolino, e nei supplementari piegò la resistenza Africana. Seguirono la vittoria nei quarti contro la Spagna (2-1), decisa sempre da Roberto Baggio, e la vittoria in semifinale sulla Bulgaria (2-1), anche qui decisa da una doppietta del "Divin Codino”. Mancava a quel punto la sola finale, che l'Italia giocò nel caldo infernale di Pasadena il 17 Luglio 1994, mentre a Palazzo Chigi si era insediato dalla primavera pre¬cedente il primo governo Berlusconi. Baggio giocò in condizioni fisiche precarie, Franco Baresi scese in campo con un recupero-record dall'infortunio subito alla seconda partita, ma ogni azione era spenta dall'afa e dalla stanchezza accumulata in quel mese di pallone.
Si arrivò così ai rigori e toccò proprio a Baggio, crudele ironia della sorte, calciare alto l'ul¬timo dell'Italia, lasciando la vittoria al Brasile. Da Usa 94 all'Europeo 1996 in Inghilterra, in cui l'Italia uscì al primo turno. Anche qui colpa di un rigore fallito, stavolta da Gianfranco Zola, nel match contro i futuri campioni della Germania. Su quell'episodio si chiuse di fatto l'esperienza di Sacchi al vertice della Nazionale, nei giorni in cui l'Italia viveva il primo governo Prodi. Il suo addio aprì le porte a Cesare Maldini, trionfatore per tre volte con I'Under 21 nell'Europeo (1992, 1994, 1996). Si occupò lui di conquistare un posto al Mondiale 1998, dopo uno spareggio con la Russia. In Francia arrivò una Nazionale forte, capeggiata in attacco da Christian Vieri, da Del Piero e dal redivivo Baggio, con una difesa affidata all'esperienza di Pagliuca (terzo Mondiale per lui), Costacurta e Bergomi, unita alla freschezza di Cannavaro. Sarà sempre un rigore a condannarci, in questo caso nella serie finale dal dischetto contro la Francia, poi futura vincitrice, ai quarti di finale. La fine ingloriosa del Mondiale francese portò a un nuovo cambio in panchina. Dino Zoff, il portiere - mito dell'82, al posto dell'uscente Cesare Maldini. E proprio Zoff sfiorò la vittoria nel successivo Europeo 2000, dopo la serie di rigori (stavolta) vinti contro l'Olanda in semifinale e dopo il vano vantaggio firmato da Delvecchio nella finale contro la Francia. La beffa era però dietro l'angolo e si materializzò nel pareggio al minuto 90 di Wiltord, seguito dal Golden Goal di Trezeguet che spedì a casa gli Azzurri con l'amaro in bocca. Al rientro, anche per via di alcune polemiche sollevate dall'ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, destinato a tornare a Palazzo Chigi l'anno successivo, Zoff rassegnò le dimissioni. Era stato l'Europeo del cucchiaio di Totti, ma alla fine il destino si era ritorto contro l'Italia. A molti sembrò che una maledizione si fosse abbattuta sulla Nazionale. Provò così a scacciarla un altro Ct, Giovanni Trapattoni, comandante di lungo corso sulle panchine di club. li primo appuntamento per lui, una volta raggiunta la qualificazione, fu il Mondiale del 2002. Ma ogni speranza si spense contro il muro alzato dall'arbitro ecuadoregno Moreno, che vessò la nostra Nazionale nell'incontro con i padroni di casa della Corea del Sud. Trapattoni inseguì pertanto il riscatto nel successivo Europeo in Portogallo. Ma in quel giugno 2004 le cose andarono malissimo: la squalifica a Totti, il pareggio di lbrahimovic nella seconda partita, fino all'inutile vittoria con la Bulgaria (2-1), con gol di Cassano, nell'ultima gara. Altrove si era deciso il passaggio del turno.
Il Mondiale 2006. E così il "Trap", dopo un quadriennio privo di lampi, passava la mano a Marcello Lippi che ci guidò al Mondiale in Germania, guastato alla vigilia dallo scandalo di Calciopoli che travolse società e giocatori italiani, una bufera che sembrò compromettere ogni speranza azzurra. E invece, quasi come da tradizione italiana, nel momento più basso della storia avvenne il miracolo, si concretizzò la resurrezione. Dopo avere vinto agevolmente il girone, l'Italia superò, non senza fatica, l'Australia agli ottavi di finale (l-O) e poi liquidò con facilità I'Ucraina ai quarti (3-0) A quel punto, le si palesò di fronte la Germania padrona di casa in semifinale, ma un gol di Grosso e un altro di Del Piero nei supplementari Cl portarono alla finale di Berlino, dove ad attenderci c'era la Francia di Zidane. Ne venne fuori una partita leggendaria, epica, seguita in tribuna dal Presidente del Consiglio Romano Prodi e da milioni di tifosi italiani nelle loro case. Al gol di Zidane dal dischetto rispose Materazzi, uno degli eroi di quel Mondiale, e ai rigori - prendendoci una rivincita solenne sulla Nazionale francese - toccò a Grosso l'onore di calciare il penalty della vittoria. Che bello vedere festeggiare in campo Gattuso e Pirlo, Zambrotta e Buffon, Toni e Camoranesi, mentre Fabio Cannavaro si incaricava di sollevare in alto la quarta Coppa del Mondo nella storia della Nazionale.
Una gioia immensa, non guastata neppure dai processi extrasportivi. Lippi abbandonò per lasciare il posto a Roberto Donadoni, cui toccò la qualificazione e la fase finale dell'Europeo 2008. Un torneo strano, di alti e bassi, da cui l'Italia uscì ai rigori nei quarti per mano della Spagna, poi vincitrice della manifestazione. Altro cambio in panchina, con il viaggio inverso di Lippi, pronto a prendere in mano la squadra per disputare il Mondiale sudafricano 20l0 Uno dei peggiori della nostra storia recente, forse anche per un debito di riconoscenza del Ct nei confronti del blocco storico che aveva trionfato a Berlino.
Il quadriennio Prandelli. Chiuso male il Mondiale, ecco Cesare Prandelli. Proprio a lui, già stimato allenatore di club, è toccato il compito di ricostruire la Nazionale in un momento non facile per il movimento italiano, con la perdita di competitività dei nostri club e con sempre più stranieri all'interno della Serie A Malgrado ciò, contando sui colpi di Cassano e sul talento immenso di Mario Balotelli, Prandelli è riuscito a portare la Nazionale azzurra sul secondo gradino dell'Europeo 20l2, sconfitta unicamente dalla mostruosa Spagna Campione del Mondo e due volte europea. E concludere al terzo posto la Confederations Cup 2013. Nonostante le attese positive che accompagnarono l’Italia in Brasile, il Mondiale 2014 rappresentò un altro fallimento sportivo, il secondo consecutivo dopo il 2010: gli Azzurri, dopo il brillante esordio con l’Inghilterra a Manaus e un Balotelli ancora da copertina, si spensero presto e finirono ko con Costarica e Uruguay (resterà nella storia il morso di Suarez a Chiellini). Al termine della gara disputata a Natal, il Ct Prandelli si assunse la responsabilità della disfatta dimettendosi con effetto immediato, seguito a stretto giro in conferenza stampa dal Presidente federale Giancarlo Abete, che avrebbe guidato la FIGC fino alle successive elezioni dell’agosto 2014.
Da Conte a Mancini. Carlo Tavecchio, neo presidente federale, per dare nuovo slancio alla Nazionale sceglie come Ct l’ex allenatore della Juventus Antonio Conte. Il tecnico salentino, reduce da 3 scudetti consecutivi con il club bianconero, si rivela scelta indovinata e conduce gli Azzurri agli Europei Francia 2016 con uno score di primissimo piano: primo posto e imbattuti nel girone di qualificazione con sette vittorie e tre pareggi. Nonostante questo percorso, superare la fase a gironi dell’Europeo sembra un ostacolo troppo grande. La Svezia di Ibrahimovic, il Belgio, squadra data tra le favorite per la vittoria finale, e l’Irlanda sono le 3 avversarie del girone. La gara d’esordio con il Belgio rappresenta subito un duro banco di prova: a Lione però gli Azzurri vincono e convincono, battendo 2-0 la nazionale di Wilmots grazie alle reti di Giaccherini e Pellé. Il gruppo, sotto la guida di Conte, è affiatato, l’Italia gioca bene e, grazie ad un gran gol di Eder nei minuti finali, supera anche la Svezia di Zlatan Ibrahimovic, conquistando con un turno di anticipo la qualificazione agli ottavi di finale e il primo posto del girone. La sconfitta di misura con l’Irlanda è ininfluente ai fini della classifica, mentre la vittoria in extremis della Croazia sulla Spagna è una doccia fredda per la Nazionale, costretta a scontrarsi negli ottavi con i campioni d’Europa in carica. Quattro anni dopo la finale di Kiev, dominata dalla squadra di Del Bosque, Italia e Spagna si affrontano a Saint-Denis davanti a 80 mila spettatori. Gli Azzurri giocano una partita memorabile e vincono meritatamente con i gol di Chiellini e Pellé, scatenando l’entusiasmo di migliaia di tifosi presenti sugli spalti dello ‘Stade de France’ e dei circa 20 milioni di italiani incollati davanti alla tv. I quarti di finale vedono opposte le due nazionali europee più titolate: il 2 luglio si affrontano Italia e Germania, una grande classica del calcio mondiale che va in scena per la 35ª volta allo ‘Stade de Bordeaux’. E ancora una volta il match non delude le aspettative: nella ripresa Ozil porta in vantaggio i tedeschi, poi Buffon salva il risultato e nel finale Bonucci trasforma il rigore dell’1-1. Dopo i supplementari si va ai rigori, una sequenza thrilling con continui colpi di scena: sbaglia per primo Zaza, poi Buffon respinge il tiro di Muller e Ozil colpisce il palo. Gli errori di Pellé e Bonucci sembrano condannare l’Italia, ma sbaglia anche Schweinsteiger. Si va ad oltranza e al nono tentativo l’errore decisivo è di Darmian, Buffon riesce solo a sfiorare l’ultimo pallone calciato da Hector e la Germania vola in semifinale.
La Nazionale esce a testa alta dall’Europeo. Per Antonio Conte è l’ultima partita da Commissario tecnico: il giorno dopo nella sala conferenze di ‘Casa Azzurri’ a Montpellier verrà salutato dal lungo e poco usuale applauso dei giornalisti italiani. Si conclude così una bellissima avventura, una favola azzurra capace di appassionare milioni di italiani a cui è mancato solo il lieto fine.
È Gian Piero Ventura, ex tecnico del Torino, il nome scelto per sostituire Conte. La sua predisposizione con i giovani è sicuramente un biglietto da visita importante per una Nazionale in cerca di nuovi talenti. Purtroppo gli Azzurri, pur perdendo una sola partita nel girone di qualificazione (Spagna - Italia 3-0) verso i Mondiali di Russia 2018, sono costretti a giocarsi il pass per Mosca nel play-off di novembre con la Svezia. La sconfitta alla Friend Arena di Solna per 1-0, a causa di una sfortunata autorete di De Rossi, mette subito in salita il discorso qualificazione per l’Italia, ma il calore dello stadio “Giuseppe Meazza” lascia aperte le speranze di ribaltare il risultato al ritorno. A Milano, davanti a 73 mila spettatori, nonostante un assedio continuo, gli Azzurri non riescono a scardinare la difesa scandinava e la partita termina 0-0 consegnando alla Svezia l’accesso al Mondiale. Per l’Italia è una sconfitta storica, dopo 59 anni non è qualificata alla Coppa del Mondo. Si chiude il ciclo Ventura e anche quello di molti calciatori Azzurri: Buffon, Barzagli e De Rossi a fine gara annunciano il loro addio alla Nazionale.
Ancora sotto shock per la mancata partecipazione al Mondiale 2018, la Federazione, sotto la guida del Commissario straordinario Roberto Fabbricini, dopo un interregno affidato per le amichevoli di marzo al tecnico dell’Under 21 Gigi Di Biagio, sceglie un allenatore di fama internazionale per rilanciare la Nazionale: Roberto Mancini. Il 15 maggio 2018 l’ex allenatore di Lazio, Fiorentina, Inter, Manchester City, Galatasaray e Zenit San Pietroburgo firma un contratto biennale con l’obiettivo di rilanciare l’Italia in vista dell’Europeo 2020, il primo itinerante della storia della UEFA.
Il resto è storia dei giorni nostri.
Nei menu a lato, la sintesi della storia della Nazionale A suddivisa per singola competizione (Giochi Olimpici, Mondiali e Europei), oltre a quella relativa alla Nazionale Under 21, quella della Nazionale Femminile, delle Nazionali Giovanili, della Nazionale di Futsal e di Beach Soccer, che negli anni, hanno completato il panorama delle Nazionali comprese nel Club Italia.